Cos’è il greenwashing? Semplificando possiamo definirlo come una azione, o non-azione, che mira a generare un contenuto di comunicazione sui temi dello sviluppo sostenibile, utilizzato poi per creare, accrescere o proteggere, una reputazione non autentica, falsa e ingannevole. Una relazione assai pericolosa tra una governance che decide e una comunicazione che si presta, una relazione mandante-esecutore spesso di non semplice e facile lettura.
Quando, circa 20 anni fa, il “green” ha iniziato ad essere un trend, piuttosto cool, cioè una nicchia piuttosto remunerativa, la competizione era tutta basata sull’apparire più verdi, sembrare più che essere. Lo chiamarono greenmarketing. Questa competizione si trasformò presto in escalation capace di generare ansia da prestazione in molti marketer vecchia scuola, quelli cresciuti a mordi e fuggi, generando così una comunicazione ingannevole, pronta in 5’, per le persone, i mercati e il Pianeta intero.
Si ottenne così un unico risultato: minare nelle fondamenta la fiducia e la credibilità di intere filiere e dell’intera cultura dello sviluppo sostenibile. Ora che di greenmarketing fortunatamente non si parla più, non ci resta che risolvere il suo lascito più importante e devastante, il greenwashing.
Nel frattempo sono successe tante cose e, tra una COP e quella dopo, la sostenibilità non è più un vezzo radical chic ma un’emergenza globale che ha reso il greenwashing una pratica tanto diffusa quanto normata e quindi sanzionata. Oggi viviamo però nell’era dei “tantiwashing” e come spesso accade quando un problema persiste e si arranca nel trovarne la soluzione, una buona pratica è quella di tornare fondamentali, per ricostruirne le fondamenta appunto.

Il greenwashing delle origini era riconducibile ad un uso distorto e malefico della comunicazione. Distorto quando non basato su dati reali e correttamente presentati, malefico quando volutamente falso e manipolatorio. Non autentico.
Autentico: riconosciuto come vero, che corrisponde alla realtà e che si manifesta con spontaneità.
Con autentico s’intende la relazione di veridizione tra soggetto e predicato, cioè il grado di verità di un contenuto enunciato.
- Verità è essere e sembrare: ciò che appare è ciò che è realmente.
 - Segreto è essere ma non sembrare: è il travestimento e ciò che appare è diverso da ciò che è realmente.
 - Menzogna è non essere ma sembrare: ciò che appare non descrive ciò che è, lo fa sembrare.
 - Falsità è non essere e non sembrare: ciò che appare, o è semplicemente evocato, è qualcosa che di fatto non c’è.
 
Recuperiamo allora, con l’impegno di farne buon uso, le massime conversazionali, del filosofo inglese Herbert Paul Grice, cioè i principi che governano – dovrebbero – la comunicazione secondo logiche di pertinenza e rispetto del principio di cooperazione, fra emittente e destinatario:
- Quantità. “Non essere reticente o ridondante”: la comunicazione sarà informativa quanto necessario; non sovrabbondante e non carente; solo quella necessaria, né più né meno; nel troppo e nel troppo poco ci si nasconde facilmente.
 - Qualità. “Sii sincero, e fornisci informazione veritiera secondo quanto sai”: non diciamo ciò che non sappiamo essere vero, o della cui presunta verità non abbiamo prove sufficienti; solo così daremo un contributo sincero.
 - Relazione. “Sii pertinente”: diciamo solo cose che hanno un senso e un valore rispetto a ciò che vogliamo dire e che il pubblico ha bisogno di sentire; rimaniamo focalizzati e non portiamo rumore a chi ascolta, creando distrazione.
 - Modo. “Evita l’ambiguità”: diciamo le cose in modo esatto, semplice e leggero, parliamo una lingua che chi ascolta può capire o forniamo prima gli strumenti che serviranno per capire poi.
 
Perchè è importante tutto ciò?
Perchè tanto più si parla, si teorizza e si legifera di greenwashing tanto più osserviamo l’affermarsi della sua contraddizione, il non-washing che chiamiamo greenhushing: cioè il tacere.
Pur essendo sensibili, attive, corrette ed efficaci sono sempre più numerose le aziende che tacciono; nel timore di essere aggredite e di doversi, onerosamente, difendere, preferiscono minimizzare qualsiasi forma di comunicazione.
Così la paura genera un doppio danno. All’azienda silente che rinuncia in partenza alla possibilità di costruirsi una solida reputazione e attrattività nel mercato e nella società.
Al mercato e alla società che perdono la possibilità di conoscere buone pratiche che potrebbero ispirare nuove strategie, nuovi modelli di business e nuove consapevolezze. Così torniamo al punto di partenza e al greenwashing e greenhushing dobbiamo con forza contrappore un modello di comunicazione sincero e coinvoltro, preparato e consapevole. Fiero e illuminante. Goodvertising, con l’anima. Forse ancora in buona parte da codificare.
Questo è ciò a cui sono chiamati i comunicatori di oggi e di domani.
Si sta investendo molto per formare nuove generazioni di Sustainability Manager ma è necessario investire molto anche per formare nuove generazioni di Story Designer della Sostenibilità.