Le future generazioni

Da martedì 15 novembre 2022, secondo le stime delle Nazioni Unite, ci sono 8 miliardi di persone sulla Terra, un miliardo in più rispetto al 2011, e il doppio rispetto al 1974. In undici anni la popolazione mondiale è aumentata quanto aveva fatto nei suoi primi 300mila anni di storia, cioè dalla comparsa di Homo sapiens sul pianeta fino al primo miliardo di persone, che si stima siano state raggiunte nei primi anni dell’Ottocento. Si prevede invece che nel 2037 verranno superati i 9 miliardi.

Il 15 novembre era stata fissata dalle Nazioni Unite come data prevista per il raggiungimento degli 8 miliardi di abitanti umani della Terra alcuni mesi fa, sulla base di dati e modelli statistici. Non esiste in realtà al momento un metodo per sapere con precisione il numero di persone in vita sulla Terra giorno per giorno, e perciò questo genere di stime si basano su modelli che derivano dalle serie storiche e dai censimenti, che sono organizzati periodicamente in tutti i paesi del mondo. In alcuni paesi però i dati a disposizione sono scarsi e per questo, nel caso del traguardo degli 8 miliardi, si contempla un margine di errore che va dai 160 ai 240 milioni di persone.

La crescita della popolazione mondiale ha accelerato straordinariamente nell’ultimo secolo, ma ha poi rallentato dagli anni Settanta, quando in molti stati del Nord America e d’Europa il numero medio di nuovi nati per ogni donna è sceso sotto i 2. Quelli più ricchi sono anche i paesi in cui la popolazione è diminuita negli ultimi anni o comincerà a diminuire: nello specifico, sono 61 i paesi in cui si prevede che la popolazione calerà almeno dell’1 per cento tra il 2022 e il 2050, principalmente a causa della bassa natalità e dell’elevato tasso di emigrazione.

La crescita recente della popolazione mondiale è dovuta soprattutto all’aumento delle persone che vivono in Asia e Africa, che hanno compensato il calo demografico europeo e nordamericano. Più della metà della crescita prevista per i prossimi anni invece sarà dovuta all’aumento della popolazione in soli 8 paesi: Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Etiopia, India, Nigeria, Pakistan, Filippine e Tanzania.

A fine maggio 1968 usciva The population bomb di Paul R. Ehrlich, professore di Stanford: prefigurava una crescita demografica esponenziale e una conseguente serie di carestie e conflitti perché il mondo non aveva gli strumenti per sfamare miliardi di persone. Il mito della bomba demografica è rimasto nell’immaginario comune fino ai giorni nostri, anche se i modelli di Ehrlich non si sono rivelati esatti. Ancora oggi è timore diffuso che la popolazione umana si espanderà senza limiti e che il vero problema del mondo sia la sovrappopolazione.

Probabilmente non è così: l’hanno spiegato ormai molti ricercatori (vedi il libro Pianeta vuoto di Darrell Bricker e John Ibbitson di Add editore) e recentemente l’ha raccontato lEconomist.

Il crollo demografico non coinvolge poi più i soliti Paesi come Italia, Giappone, Corea del Sud. Ma abbraccia tutti i Paesi ricchi e anche buona parte degli altri.

Nel 2000 il tasso di fecondità globale era di 2,7 figli ogni donna, ben al di sopra del livello di sostituzione, ovvero 2,1 (se ogni famiglia fa almeno due figli “rimpiazza” i figli con i genitori e la popolazione rimane stabile. Lo 0,1 aggiuntivo serve a compensare le morti premature). Oggi è sceso a 2,3 e sta rapidamente calando. I 15 Paesi con più alto Pil viaggiano tutti sotto il tasso di sostituzione, inclusi Cina e India. Per il 2030 saranno 136 i Paesi al mondo con un tasso di fertilità sotto la soglia di 2,1 (oggi sono 124). Praticamente solo l’Africa continua a fare tanti figli.

In Italia si facevamo 1 milione di bambini all’anno negli anni Sessanta (il picco nel 1964), oggi molti meno di 400 mila. A livello globale dovremmo raggiungere il picco intorno alla seconda metà del secolo, 10 miliardi di persone, e poi inizierà il declino demografico su scala globale. Facciamo meno figli perché è cambiata la cultura, perché livelli più alti di benessere portano a meno figli in famiglia, perché l’empowerment femminile ha dato modo e strumenti alle donne di pianificare diversamente la loro vita.

Ad alcuni ambientalisti piace molto l’idea di un mondo meno popolato, ma il vero problema oggi non è l’alto numero di persone, ma l’estremo livello di diseguaglianze: uno non vale uno (il 10% più ricco del globo, per esempio, emette il 49% di gas serra).

Ma un crollo demografico così rapido comporta diversi problemi. Il magazine inglese li affronta dal punto di vista economico, ma alcune cose interessano anche noi. “I Paesi ricchi oggi hanno circa tre persone tra i 20 e i 64 anni ogni over 65. Per il 2050 il rapporto scenderà sotto due a uno. «Questo significa età pensionabili più alte e tasse più alte”. Ci sono Paesi, come la Corea che ha un tasso di fertilità appena dello 0,8, che sono a un passo da «non riuscire a mantenere le funzioni sociali di base», avendo sempre più anziani da supportare e meno forza lavoro con cui generare tasse. Ma «non si tratta solo di un problema fiscale: l’ingrigimento dell’economia significa anche minore innovazione».

Questo è il punto chiave. Meno giovani e sempre più anziani significa anche meno meno “intelligenza fluida” tipica delle ultime generazioni. Il dinamismo dei giovani è complementare alle conoscenze accumulate delle vecchie generazioni: statisticamente sono i giovani che depositano più brevetti, per esempio, e sono giovanissimi gli inventori di tecnologie o strumenti breakthrough, ovvero di svolta.

A oggi, spiega l’Economist, le politiche per incentivare la natalità sviluppate in giro per il mondo non hanno avuto quasi mai successo, perché una volta che la curva inizia a scendere è già troppo tardi. Anche chi si affida alle migrazioni provenienti da Paesi giovani, però, non è esente dal problema. Perché le migrazioni portano forza lavoro, certo, ma spesso non si tratta di forza lavoro qualificata – quindi il problema dell’innovazione rimane.

Il giornale individua alcune soluzioni: da una parte l’intelligenza artificiale, che se messa alla base di alcuni sistemi produttivi sosterrà l’economia e i sistemi pensionistici. Dall’altra la riduzione delle diseguaglianze, così che i nuovi nati dai Paesi più giovani possano accedere a sistemi educativi più qualificati. Ma anche qui il cane si morde la coda: perché quando un popolo diventa più ricco inizia a fare meno figli.

Il boom demografico non esiste più: l’implosione demografica, invece, è qui dietro e non è solo un tema demografico ma anche generazionale.

“Si ok, ma cos’è una Generazione?” Ogni generazione rappresenta un contesto culturale, influenzato da tre fattori: la storia famigliare (appartenente per definizione ad una generazione precedente), l’educazione ricevuta nella scuola primaria (l’età in cui impariamo a scoprire il mondo), lo sviluppo tecnologico disponibile nell’età adulta (il tablet nelle mani di un bambino racconta storie molto diverse da un tablet nelle mani del nonno).

In questo momento nel mondo – quindi anche in Italia – vivono ben sette diverse generazioni. Le più anziane, per ovvi motivi le meno numerose, sono la Greatest, nata tra il 1901 e il 1927 e la Silent, nata tra il 1928 e il 1945. L’Italia vanta il triste (?) primato uno dei paesi più vecchi in Occidente. Minaccia o opportunità?

Segue la Baby Boomer, nata tra il 1946 e il 1964. È la generazione del boom economico e del conseguente boom demografico. Generazione figlia della televisione e spettatrice delle rivoluzioni culturali degli anni ‘60 e ‘70, è la generazione più numerosa in Italia, quella che occupa gli spazi decisionali ed è destinata a scontrarsi sempre più con le generazioni Millennial e Z. Essere definiti Boomer non è un complimento.

Alla generazione Boomer segue la X. Nata tra il 1965 e il 1980 è la generazione arrivata sul mercato del lavoro vestendo i panni dello Yuppie (abbreviazione di Young Urban Professional) un termine diffusosi internazionalmente a partire proprio dagli anni ‘80 e che sta ad indicare un giovane professionista “rampante” che abbraccia il capitalismo e in esso trova la sua realizzazione. Sono gli anni del consumismo e dell’edonismo reaganiano, della “Milano da bere”.

I Millennial nascono tra il 1981 e il 1996. Sono la generazione più studiata, quasi un brand, guardata con ansia perché la più colta: figli e figlie di Intercultura prima ed Erasmus poi, della Laurea presa in fretta e del Master, possibilmente all’estero. Ci sono aziende che hanno fatto valutazioni d’impatto per capirne rischi e opportunità nell’assumerli. Sono nativi ambientali (vedi sopra) cresciuti insieme a Internet, influenzandosi reciprocamente. Si dividono tra pigri, fragili e immaturi da una parte e startupper, digitalcosi e influencer dall’altra. In ogni caso conducono una vita molto diversa da chi li ha preceduti.

I Millennial ora interagiscono con gli Z, generazione arrivata tra il 1997 e il 2009, tra la rivoluzione digitale ormai irreversibile e la crisi economica globale che ha fatto dimenticare quella del ‘29. Ma hanno visto l’elezione di Barak Obama, forse hanno sentito parlare di COP 21, in ogni caso hanno accolto Greta Thumberg. Generazione iperconnessa, a cui la pandemia di Covid-19 ha sottratto tempo prezioso che lascerà cicatrici profonde; sanno che sono attesi da anni durissimi e per questo non sono disposti a demandare ad altri la scrittura del loro futuro.

Alpha è la generazione nata nel 2010, ancora troppo giovane per capirla, sono i primi figli dei Millennial più maturi e degli X che, per un motivo o per l’altro, hanno messo su famiglia tardi. Figli del XXI secolo e di genitori che hanno rappresentato uno spartiacque nel concetto stesso di generazione: non avendo chissà che prospettiva di carriera, hanno sgombrato il campo dagli indugi e hanno deciso di farsi una famiglia, che poi si vedrà. Inoltre, i maschi Millennial contribuiscono di default alla genitorialità, senza neanche mettere in dubbio di doversi dare da fare con i figli – anche piccoli – mentre non è così per tutti gli X. Gli Alpha sono la generazione alla quale l’Agenda 2030 avrebbe voluto offrire un mondo migliore.

Sono forse la più importante fra le generazioni alle quali Patagonia dedica una lettera inviata dal 2030 e che si chiude così:

“È emozionante vedere così tante opportunità di speranza. Sembravano impossibili solo pochi anni fa. Il nuovo mondo non è più solo in arrivo. Non è più un sussurro lontano nelle nostre orecchie. No, lui è qui, rumoroso e orgoglioso come può essere un bambino. Il futuro non è mai stato così luminoso. Non vedo l’ora che arriviate tu e il piccoletto. Avremo bisogno di tutti voi.”

Ne parliamo insieme?