Il sustainability manager

La sostenibilità è la road map del cambiamento, il sustainability manager la gestisce.

Mentre il riscaldamento globale appare inarrestabile e molti, ma ancora non abbastanza, chiedono a gran voce innovazioni significative nel modo di produrre, tante (troppe) aziende ancora tentennano, esitano e nel dubbio procrastinano.

In attesa del Sustainability Manager.

Quale sia lo sviluppo da intraprendere l’hanno detto le Nazioni Unite con gli SDGs e Blackrock con le linee guida dettate dal CEO Larry Fink.

L’ha detto Papa Francesco con due encicliche e l’Unione Europea con il piano Next Generation.

Per tutti questi motivi, le aziende hanno bisogno di una road map verso la sostenibilità che sia efficace nel ridurre l’impatto e redditizia nel creare valore a lungo termine.

Oggi è chiaro che il marketing è – e deve restare – una roba per marketer mentre la sostenibilità è roba da Sustainability Manager, i nuovi “capitani coraggiosi” che hanno tra le mani la mappa del tesoro. E cosa dice quella mappa?

La sostenibilità è un percorso di cambiamento. È la missione messa in moto dalla visione e permette allo scopo di generare impatto. Grazie ai Valori.

3 azioni fondamentali per dare inizio al percorso:

1_ Sviluppa un punto di vista forte e autentico sulla sostenibilità.

Prima di tutto bisogna capire dove e come avere il massimo impatto. Quindi, coinvolgi i tuoi stakeholder, i colleghi prima di tutto e poi narra ai tuoi clienti – non più consumatori – quale differenza che stanno facendo le tue azioni.

Sii trasparente e autentico: che è ciò che vogliono. Essere accusato di greenwashing, oggi più che mai, è un danno irreversibile.

2_ Sviluppa partnership strategiche.

In un sistema lineare tradizionale, i produttori di beni non sono tenuti ad assumersi la responsabilità dei loro prodotti o imballaggi prima dell’ingresso delle materie prime e dopo aver venduto il prodotto sul mercato. Molti produttori evitano di essere pienamente coinvolti nella vita di ciò che creano.

In un’economia circolare, i produttori devono assumersi la responsabilità per l’intera vita delle cose che creano, dal modello di business, alla progettazione fino alla gestione del fine della vita. Questo è possibile solo grazie a partnership con tutti gli attori della filiera, nessuno escluso.

3_ Abbraccia il cambiamento e promuovi l’innovazione.

I progressi tecnologici creano nuovi processi e nuovi prodotti ma offrono anche l’opportunità per efficientare i sistemi e le strutture esistenti su larga scala e renderli più sostenibili.

Questo può aprire la strada alla creazione di un cambiamento reale e positivo per il futuro, fornendo ai partner e alle persone opzioni più accessibili e più convenienti per la sostenibilità che desiderano.

La responsabilità di guidare una maggiore sostenibilità a lungo termine non può poggiare esclusivamente sulle spalle delle singole persone: serve una alleanza tra imprese, governo e consumatori.

In azienda servono dei Sustainability Manager capaci di far accadere tutto ciò:

_ Creare un ambiente che incoraggi nuove mentalità e comportamenti che aiuteranno il cambiamento a prendere forma e a crescere.

_ Sviluppare il cambiamento con una strategia che inviti alla partecipazione e motivi il buy-in.

_ Co-creare il cambiamento coinvolgendo le persone più motivate fin dall’inizio.

_ Rendere tangibile il potenziale del cambiamento proposto attraverso l’analisi e l’ascolto.

_ Sfruttare le resistenze interne per costruire soluzioni più forti all’esterno.

_ Ingaggiare gli stakeholder condividendo grandi storie su piccoli cambiamenti.

Serve una specifica formazione per sviluppare nuovi mind set che mettano le persone e le aziende nella condizione di comprendere e intepretare al meglio queste nuove professioni. Ne parliamo insieme?


Lezioni americane

Le Lezioni Americane di Italo Calvino ci aiutano a trovare l’ispirazione per coloro che desiderano intraprendere la professione del Sustainability manager, ma troppo spesso e troppo velocemente non possiamo non pensare a questa:

“Stay hungry, stay foolish”. [Steve Jobs, RIP]

La cui traduzione canonica recita un “siate affamati, siate folli” che forse merita un breve disgressione, alla ricerca di significati più profondi. Che le Lezioni Americane di Calvino ci aiutano a trovare.

HUNGRY è sempre stato tradotto come affamati, corretto in quanto a significato letterale, ma a cui forse Steve Jobs voleva dare un senso diverso, meno aggressivo e “doloroso”. Hungry può significare anche CURIOSO, assetato di conoscenza, che ama la ricerca e non si lascia influenzare dal pensiero dominante. Nella fame c’è rabbia, nella curiosità c’è visione.

FOOLISH invece è stato tradotto, letteralmente, come pazzi. Ma che visione può esserci nella mente di un folle con cui non si può dialogare perchè al di fuori di ogni possibile decodifica? Steve Jobs non è mai stato un folle e l’attuale capitalizzazione di Apple, così come il valore di Pixar, sono li a dimostrarlo. Ma certamente è stato IMPREVEDIBILE, come solo una mente creativa può essere.

Ecco quindi che “Siate curiosi, siate imprevedibili” improvvisamente suona più dolce, più positivo e più coinvolgente. Mettendo i destinatari del messaggio al ponte di comando del loro futuro, perché un folle affamato sarà sempre in balia di qualcosa e fuori controllo, anche di se stesso.

“One more thing…”

Forse troppo spesso si evoca Steve Jobs quando siamo in cerca d’ispirazione ma qui voglio parlare di qualcuno che della narrazione capace di ispirare strategie ed innovazioni ci ha detto tutto quello che serve per davvero.

Nelle Lezioni americane di Calvino troviamo la cassetta degli attrezzi per la scrittura di un efficace racconto di marca, che deve avere le caratteristiche di LeggerezzaRapiditàEsattezzaVisibilità Molteplicità. La sesta lezione non è mai stata scritta, ma si sarebbe intitolata Coerenza. Possiamo provare ad immaginare cosa ci avrebbe insegnato.

La marca è quella cosa che dicono di te, o del tuo prodotto, quando lasci la stanza.

La marca è la promessa che fai al mondo e le marche vere mantengono le promesse. La marca non è il logo, non è la visione e la mission che si trovano scritte nella brochure o nella pagina about del tuo sito. La tua marca sei tu e la tua reputazione. È la narrazione che ne fai.

Per questo ti suggerisco di rileggere Italo Calvino e le sue Lezioni Americane.

lezioni americane

Un libro sulla letteratura? Certamente. Letto con occhi diversi è anche un manuale di content strategy storytellingche ci ricorda come il racconto della marca debba basarsi su una solida struttura narrativa.

Leggerezza.

Il senso delle cose nasce dall’esistenza del loro contrario. Così come lo scopo. Per affrontare problemi gravi, situazioni difficili e sconfitte reali o incombenti, occorre saper immaginare un mondo migliore, affascinante e intrigante. Consapevoli che la leggerezza, mai frivola, è necessaria per creare il coinvolgimento delle persone.

Rapidità. 

Non è velocità nei tempi di esecuzione ma agilità, mobilità e disinvoltura. Capacità di muoversi con precisione, nel rispetto dei tempi delle cose. Senza indugi e con la giusta dose di pianificazione che indica la direzione, non necessariamente il percorso.

Esattezza. 

Vuol dire avere una visione lucida e netta del progetto, raccontarlo usando ed evocando parole ed immagini emozionanti, che fanno riflettere e che risultano memorabili. Usare un lessico opportuno, mai autoreferenziale e che sia in grado di rendere l’insieme delle sfumature di cui abbiamo bisogno, aiuta a scrivere il canovaccio della narrazione che vogliamo offrire al nostro pubblico.

Visibilità

È la capacità di mettere a fuoco una visione, vedere il gesto non compiuto, sentire la parola non detta. E’ la capacità di illuminare la strada da percorrere per raggiungere proprio quel posto nel mondo. Chiamata anche leadership.

Molteplicità

Bisogna saper guardare alla diversità come fonte d’ispirazione, includerla sempre e ignorarla mai. Consapevoli che non è limite al nostro agire, ma opportunità da cogliere per proporre innovazionevera, quella utile e con uno scopo.

Coerenza.

È la lezione mai tenuta, ci ha lasciato solo un titolo ma mi fa pensare alla strategia: non c’è strategia se dall’universale al particolare la determinazione nel percorrere la direzione presa vien meno, trascurando senso e significato.

One more thing… forse “think out the box” non basta più. E’ venuto il momento di ripensare la scatola. Non serve fare di più, cioè troppo. Forse anche fare le cose meglio non serve più. E’ venuto il momento di fare cose migliori. L’opposto di più non è meno ma è Benfatto.

È tempo di cambiamenti radicali ed evolutivi capaci di ispirare nuovi rapporti tra persone e aziende e tra persone e persone, perché è ormai chiaro che sono le persone e non i prodotti che vogliono essere sostenibili.

Persone che hanno riacquistato valore ed autostima nel momento in cui, anche grazie alla maggior consapevolezza che il web permette, hanno maturato l’idea che la Sostenibilità non è una meta ma un viaggio, una direzione all’interno della quale ogniuno è – finalmente – libero di compiere il proprio percorso di vita, che comprende [non è più compresa in] diversi modelli di consumo, parola orrenda che sempre più è associata a spreco e rifiuto.

In estrema sintesi si potrebbe dire che la Sostenibilità è uno scopo. Indviduale e collettivo. E’ uno “scopo sociale” e le Persone sono alla ricerca di “impatto sociale”. Ciò vuol dire che è giunto il momento di pensare alle Persone come “investitori in scopi sociali”.

Così all’azienda non resta che cercare di capire in quale direzione si muovono le persone e cercare di convincerle di meritare un posto al loro fianco.

Ne parliamo insieme?

Designer d’impatto

Perché uso il Design thinking per fare consulenza e formazione? Perché per definizione è lo strumento che mette le persone nella condizione di abbracciare l’incertezza e farne un motore di cambiamento.

Che è esattamente ciò di cui hanno bisogno oggi le aziende che cercano la propria posizione sui mercati del futuro, che accoglieranno solo aziende capaci di unire i puntini con uno scopo e una reale capacità d’impatto.

#Immaginare le connessioni di questi punti permette di sviluppare un ventaglio di #opzioni tra cui scegliere quella più #adatta per la propria realtà. Il #design allena da sempre questa capacità di immaginare; grazie alla #visualizzazione riesce a fare #reframing del contesto delineando uno o più percorsi che abbiano #senso per l’azienda presa in considerazione.

Le imprese di domani sono quelle che oggi affrontano i problemi in modo nuovo e sistematico, adottando il pensiero sistemico, il design circolare e la narrazione.

Portando il Design thinking nella cultura aziendale si scrivono strategie che permettono di sfruttare al meglio le opportunità di crescita che il cambiamento in atto sta generando.

Il Design è estremamente efficace perché è allo stesso tempo un processo e un modo di pensare: crea sinergia tra pensiero e azione, generando valore, impatto e crescita.

Il Design thinking è circolare, è un processo che funziona in loop perché le ambiguità e le incertezze dei mercati cono in continuo divenire.

La sfida non cambia mai, ogni modello di business deve creare valore, ma quel valore è tale se il “cliente” è in grado di percepirlo (narrazione) e di estrarlo (usabilità).

Per questo semplice motivo occorre sempre iniziare un pensiero strategico dai bisogni delle persone, che è quello che fanno i designer d’impatto.

Un modello di business è detto d’impatto quando genera valore per tutti gli stakeholders, distribuendo impatto positivo lungo tutta la catena del valore.

Un modello di business d’impatto può notevolmente accrescere la reputazione di una organizzazione grazie al migliori prestazioni in termini di sostenibilità e all’alto tasso di innovazione attraverso la ridefinizione degli aspetti più rilevanti del modello imprenditoriale, dalla catena di fornitura e alle relazioni con i clienti.

Per questo motivo utilizzo il Design thinking nei miei percorsi consulenziali e formativi: per far emergere i talenti che saranno i designer d’impatto del futuro.

Ne parliamo insieme?